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RITRATTO DI SIGNORA
(PORTRAIT OF A LADY)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 28 ottobre 1996
 
di Jane Campion, con Nicole Kidman, John Malkovich, Barbara Hershey, John Gielgud (Stati Uniti, 1996)
 
Non si faticano a comprendere le ragioni che devono aver indotto la regista neozelandese a scontrarsi con uno dei romanzi di Henry James più ostici da tradurre in cinema (cosi complesso, da invitare a suo tempo il grande Luchino Visconti alla rinuncia...). Basta un'occhiata quella storia di una giovane americana - libera e pronta a conquistarsi il mondo - che eredita dallo zio inglese una cospicua fortuna. E con essa, la sua condanna.

Ancora una donna, insomma. Lucida, determinata, sensuale; e prigioniera. Ormai non più tanto dei pregiudizi della propria epoca, come l'indimenticabile protagonista di LA LEZIONE DI PIANO. O del proprio corpo, come la scrittrice alienata di UN ANGELO ALLA MIA TAVOLA,. O della famiglia, come quella di SWEETIE, il film che rivelò al mondo l'universo insolito e poetico di Jane Campion. Ma di una condizione sociale, del potere della legge e del denaro: che la conducono alla schiavitù di un esteta insulso, di un marito avido e crudele.

Non si faticano, forse, a comprendere altre ragioni, responsabili del parto - ahimè faticoso - di questo RITRATTO DI SIGNORA: dopo la consacrazione universale di LA LEZIONE DI PIANO, la possibilità di girare un film con molti attori celebri, i mezzi necessari ad una sontuosa ricostruzione storica della fine dell'Ottocento, l'accesso alla Cultura della vecchia, ma sempre utile Europa. Quella che il cinema americano considera sempre più inoppugnabile, quando si tratta di illustrare le raffinatezze, poi le contraddizioni degli universi letterari cari ai James, ai Forster o ai Warthon.

Cosi, questa tela di fondo ideale per una pittrice delle aspirazioni libertarie, diventa qualcosa di assai più contraddittorio. Si fa innanzitutto scontro. Fra le esigenze di un universo espressivo originale, aggressivo e poetico; e gli schemi del classico adattamento letterario. Fra uno stile visionario, lirico e critico; e le conclusioni, assai più blande, del tradizionale psicologismo sentimentale.

Solo nella direzione degli attori, Jane Campion sembra uscire indenne da questa difficile situazione. A cominciare da quella di una Nicole Kidman agghindata, ma pure sollecitata come le più gloriose eroine della regista. Splendida e fremente di aspirazioni esistenziali, di sensualità repressa, di malcelata rassegnazione. Ma la sceneggiatura è lungi dall'imprimere al film un'architettura che anche sommariamente supplisca a quella sapiente dell'originale letterario. Priva di equilibrio e di progressione, esitante tra un personaggio e l'altro, sempre in dubbio se procedere sul filo del complotto alla RELAZIONI PERICOLOSE piuttosto che su quello del lirismo sentimentale, la base scritta da Laura Jones è la principale responsabile delle incertezze del film.

E di quelle, inevitabili a quel punto, della regia. Che più si applica a voler marchiare dell'originalità di uno sguardo la convenzione della propria storia, più sembra sottolineare l'impotenza - per non dire la gratuità - dei propri sforzi: cosi quelle inquadrature di sghimbescio che inutilmente introducono molte sequenze, l'incomprensibile sequenza iniziale con alcune signorine in veste contemporanea intente a fissare l'obiettivo, le sovraesposizioni abbaglianti ed i chiaroscuri inutili che appesantiscano una ricostruzione storica già di per sé stessa scarsamente eccitante. O ancora, un'inutile sequenza onirica in bianco e nero che dovrebbe esaltare e chiarire in chiave espressionistica le più che comprensibili frustrazioni dell'eroina.


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